‘Banca dati’ delle sentenze di merito: illegittimo l’oscuramento dei dati personali

Smentita la tesi sostenuta dal Ministero della Giustizia. La norma non vieta di rendere disponibili i provvedimenti giurisdizionali in forma integrale, salvo i casi in cui sia la legge oppure l’autorità giudiziaria a disporre l’anonimizzazione dei dati personali contenuti nella pronuncia

‘Banca dati’ delle sentenze di merito: illegittimo l’oscuramento dei dati personali

Illegittimo l’oscuramento tout court di tutti i dati personali contenuti nelle sentenze pubblicate e rese accessibili tramite ‘banca dati’ pubblica allestita dal Ministero della Giustizia e relativa alle sentenze di merito. Questo il punto fermo fissato dai magistrati (sentenza numero 7625 del 17 aprile 2025 del Tar Lazio), i quali ‘censurano’ l’ipotesi di una completa anonimizzazione dei provvedimenti giudiziari emessi in Italia. In premessa, viene ritenuto doveroso per l’amministrazione (al fine di ottemperare agli impegni assunti in sede europea) procedere alla realizzazione di un’architettura informatica che garantisca alla generalità dei cittadini l’accesso alle pronunce giurisdizionali. Quanto alle modalità con cui garantire la fruizione dei contenuti della banca dati, è prescritto unicamente il rispetto della legislazione vigente: ciò lascia quindi aperta la strada a varie opzioni purché funzionali al raggiungimento dello scopo per il quale si è creata la ‘banca dati’. Date tali premesse, non si può considerare ragionevole, proporzionata o necessaria, sanciscono i magistrati amministrativi, la decisione di anonimizzare tutti i provvedimenti pubblicati nella ‘banca dati’ pubblica. Invero, se l’obiettivo è garantire la diffusione della cultura giuridica, rendendo conoscibili gli indirizzi giurisprudenziali che, sebbene non vincolanti, possono guidare l’azione degli operatori giuridici, risulta chiaro che oscurare totalmente le informazioni circa alcuni dati di fatto rende, sostanzialmente, impossibile (o comunque assai complesso) comprendere l’esatta portata del pronunciamento. Sotto tale riguardo, quindi, non può essere condivisa la tesi secondo cui l’oscuramento, coinvolgendo solamente i dati personali, non priverebbe di utilità la consultazione della ‘banca dati’. Anche perché la mancata pubblicazione integrale è sicuramente incidente sull’esatta intellegibilità della sentenza: a tal fine, infatti, vale osservare come un dato personale può essere inserito dall’estensore in qualsiasi parte della sentenza, anche nel principio di diritto espresso (nel caso, non meramente ipotetico pur trattandosi di pronunce di merito, di redazione di un tale paragrafo). Inoltre, va rilevato che per intendere la portata di una pronuncia giurisdizionale è doverosa l’esatta definizione della vicenda fattuale: in assenza dalla comprensione di quest’ultima, infatti, il ragionamento giuridico si presenterebbe totalmente speculativo, divenendo oggetto d’interesse puramente teoretico. Viceversa, considerato che la finalità perseguita con la creazione della ‘banca dati’ pubblica è di natura pratica, diffondendo la conoscenza degli orientamenti pretori, onde evitare il contezioso e rendere più rapide le decisioni, risulta di assoluta necessità favorire la comprensione della vicenda concreta: difatti, solo in tal modo è possibile procedere effettivamente ad un’operazione interpretativa. Difatti, l’eventuale mancata chiara percezione del fatto potrebbe determinare lo sviluppo di un ragionamento, da parte del difensore, in realtà antitetico rispetto a quello espresso nel precedente giurisprudenziale, pregiudicando in tal guisa gli interessi dell’assistito. Ampliando l’orizzonte, poi, la disciplina positiva prevede, in linea generale, la pubblicazione delle pronunce rendendole accessibili a tutti mediante un sistema informativo istituzionale, e sancisce che la diffusione (ivi compresa quindi anche la pubblicazione in una ‘banca dati’ accessibile alla generalità dei cittadini) debba avvenire con oscuramento dei dati personali solamente in alcune limitate ipotesi, ossia su richiesta della parte, oppure d’ufficio allorquando ciò risulti necessario per tutelare i diritti e la dignità del soggetto. Pertanto, salvo il caso peculiare dei procedimenti coinvolgenti rapporti di famiglia, di stato delle persone ovvero minorenni, ove è direttamente la legge a vietare la diffusione dei dati personali, è rimessa all’autorità giudiziaria procedente la decisione sull’oscuramento o meno dei dati personali, e, d’altronde, in assenza di determinazione del giudice, la legge ammette espressamente la diffusione del contenuto integrale delle pronunce giurisdizionali. Tirando le somme, la norma non vieta di rendere disponibili i provvedimenti giurisdizionali in forma integrale, salvo i casi in cui sia la legge oppure l’autorità giudiziaria a disporre l’anonimizzazione dei dati personali contenuti nella pronuncia. In altre parole, il bilanciamento delle opposte esigenze, tutela della privacy dei soggetti coinvolti da un lato, e libero accesso alle pronunce giurisdizionali dall’altro, è rimesso all’autorità giudiziaria. E, quindi, l’amministrazione incaricata della raccolta in una ‘banca dati’ dei provvedimenti non può sostituirsi all’autorità giudiziaria nella valutazione circa la necessità di anonimizzazione. Conseguentemente, l’oscuramento generalizzato disposto dalla pubblica amministrazione non appare legittimo, considerato come essa appare interferire in parte anche con una decisione attribuita all’autorità giudiziaria. E poi l’oscuramento generalizzato potrebbe condurre a situazione paradossali: difatti, da un lato, la ‘banca dati’ pubblica conterrebbe la sentenza anonimizzata (pur in assenza di pregiudizî per la privacy delle parti coinvolte), dall’altro, chiunque potrebbe legittimamente pubblicare la medesima pronuncia in forma integrale. Inaccettabile, quindi, concludono i magistrati, la decisione dell’amministrazione della giustizia di oscurare in maniera generalizzata i dati personali delle parti coinvolti in tutti i procedimenti civili pubblicati nella ‘banca dati’ pubblica.

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