Destinazione urbanistica di un immobile: il cambio non è legittimato dalla libertà di culto
La stabile destinazione di un edificio a luogo di culto, presentando un impatto sull’ordinato sviluppo dell’abitato, deve avvenire nel rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia

La libertà di culto non può essere invocata per giustificare una destinazione urbanistica di un immobile diversa da quella impressa dai pubblici poteri nell’esercizio dell’attività conformativa in materia urbanistico-edilizia. Di conseguenza, la stabile destinazione di un edificio a luogo di culto – in cui praticare liberamente i riti religiosi espressione della libertà di culto prevista dalla Costituzione –, presentando un impatto sull’ordinato sviluppo dell’abitato, deve avvenire nel rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia, in cui trovano composizione i vari interessi pubblici e privati che si rivolgono al territorio quale terminale delle attività umane. Questi i punti fermi fissati dai giudici (sentenze numero 2822 e 2823 del 2 aprile 2025 del Consiglio di Stato), i quali, chiamati a prendere in esame il contenzioso tra un Comune e un circolo culturale islamico, aggiungono che la rilevanza di un mutamento di destinazione d’uso di un immobile ad incidere sul carico urbanistico – nozione implicante l’aumento di esternalità negative su una determinata area – deve essere verificato in concreto, tenendo conto di alcuni indici, quali la riduzione dei servizi pubblici, il sovraffollamento, l’aumento del traffico e, in generale, la necessità di dotare l’area di nuove opere di urbanizzazione o di utilizzare più intensamente quelle esistenti. Ragionando in questa ottica, poi, in assenza di qualsivoglia riscontro e, soprattutto, di pianificazione programmatoria a monte, il carico urbanistico correlato a un luogo di culto non può considerarsi omogeneo a quello di un’attività commerciale. Di conseguenza, l’incremento del carico urbanistico, determinato dallo stabile uso di un immobile, in origine legittimamente destinato ad uso commerciale, come luogo di culto, integra un abuso edilizio legittimante l’adozione, da parte del Comune, dell’ordinanza di demolizione, espressione di un potere a esercizio doveroso e contenuto vincolato. Per maggiore chiarezza, poi, i giudici fanno un’ulteriore precisazione: il requisito dell’agibilità deve riguardare tutti gli edifici, compresi quelli destinati al culto, nonché le relative aree pertinenziali. E l’istituto dell’agibilità non è più volto solamente a verificare – come la precedente abitabilità – la mera sussistenza di quei requisiti, essenzialmente di natura igienico-sanitaria, per abitare in un edificio (e dunque di occuparlo stabilmente e per periodi anche lunghi), ma è preordinato ad assicurare il rispetto di una serie più ampia d’interessi pubblici, come la sicurezza, anche in termini di salvaguardia dell’incolumità pubblica, e il risparmio energetico correlato alla tutela dell’ambiente, onde garantire la funzione sociale della proprietà.