Lavoratore salvo se le irregolarità contestategli dipendono dalla disorganizzazione aziendale

Esemplare il caso di una fisioterapista che, osservano i giudici, si è limitata ad adeguarsi al modello organizzativo predisposto dall’azienda

Lavoratore salvo se le irregolarità contestategli dipendono dalla disorganizzazione aziendale

Niente licenziamento se le irregolarità contestate al lavoratore derivano dalla disorganizzazione aziendale e dalla prassi imposte dal datore di lavoro. Questa la posizione assunta dai giudici (ordinanza numero 2023 del 28 gennaio 2025 della Cassazione), i quali ‘salvano’ una fisioterapista, escludendone la responsabilità disciplinare, poiché, spiegano, la lavoratrice si è limitata ad adeguarsi al modello organizzativo predisposto dall’azienda.
Nello specifico, alla dipendente sono state addebitate alcune gravi irregolarità ed inadempienze (errori, registrazioni postume, correzioni rispetto al programma terapeutico, adeguamenti e slittamenti di date, ferie) nella gestione e nella rendicontazione delle terapie effettuate a domicilio. In particolare, le sono state contestate: la presenza di più terapisti contemporaneamente presso il medesimo paziente; la presenza contemporanea di uno stesso terapista presso la struttura e al domicilio dei pazienti; l’annotazione di più terapie in orari immediatamente successivi, tanto da non essere compatibile con lo spostamento del terapista tra un domicilio di un paziente e quello del paziente successivo; l’effettuazione di terapie durante le ferie e i permessi.
I giudici hanno però potuto appurare che alla base degli errori della lavoratrice vi erano alcuni fattori organizzativi imputabili all’azienda e, nello specifico, al fatto che le schede relative alle prestazioni effettuate erano compilate successivamente e cumulativamente a fine mese. In sostanza, alcune discrasie costituivano solo errori ingenerati dallo stesso datore di lavoro, al quale, quindi, va imputata in via esclusiva, secondo i giudici, la responsabilità di tali accadimenti e ciò in considerazione del fatto che, per una prassi aziendale consolidatasi per un difetto organizzativo dell’ufficio, le cosiddette ‘schede firma’ e i resoconti venivano consegnati ai lavoratori in via postuma, ovvero a distanza di tempo rispetto all’erogazione effettiva della prestazione domiciliare.
A ciò va aggiunto che le lamentate anomalie della rendicontazione dipendevano anche dal fatto che i terapisti, dopo la presa in carico del paziente e la redazione di un programma terapeutico con cadenza delle terapie, avevano facoltà di modificare tale programma in funzione di eventuali impedimenti propri o del paziente, mantenendo inalterato il numero complessivo delle terapie.
Tirando le somme, i fatti denunciati dalla società datrice di lavoro e addebitati alla dipendente non presentano alcun rilievo disciplinare, anche tenendo presente che le prestazioni sanitarie sono state eseguite in aderenza al piano terapeutico, senza contestazioni né da parte dell’Azienda sanitaria locale né da parte dei pazienti.
Decisiva, poi, la constatazione che la lavoratrice si sia semplicemente adeguata al modello organizzativo aziendale nella predisposizione della rendicontazione del lavoro svolto, rendicontazione che poteva essere effettuata infatti a distanza di tempo e presentare incongruenze, però soltanto formali e non addebitabili alla lavoratrice.

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