Amministratore cessato: inammissibile la domanda finalizzata ad ottenerne la revoca
Scaduti i ventiquattro mesi dalla nomina, l’amministratore uscente è tenuto soltanto ad eseguire le attività urgenti ai fine di evitare pregiudizi agli interessi comuni, peraltro senza diritto ad ulteriori compensi

In materia di condominio negli edifici, è inammissibile la domanda dell’assemblea (o di un singolo condòmino), diretta, come da Codice Civile, ad ottenere la revoca dell’amministratore cessato dall’incarico per la decorrenza di due anni dalla nomina. Ciò anche perché, scaduti i ventiquattro mesi dalla nomina, l’amministratore uscente è tenuto soltanto ad eseguire le attività urgenti ai fine di evitare pregiudizi agli interessi comuni, peraltro senza diritto ad ulteriori compensi.
Questo il principio fissato dai giudici (sentenza numero 14039 del 26 maggio 2025 della Cassazione) a chiusura del contenzioso sorto in uno stabile della Capitale.
La premessa concettuale è, precisano i magistrati di terzo grado, che la revoca giudiziale dell’amministratore di condominio costituisce un procedimento eccezionale e urgente (improntato a rapidità, informalità ed officiosità), sostitutivo della volontà assembleare, suscettibile di risolvere prima del tempo il rapporto di mandato tra i condòmini e l’amministratore, che trova giustificazione soltanto nell’esigenza di assicurare una rapida ed efficace tutela (superiore a quella dei singoli condòmini e dei diritti dell’amministratore) ad una corretta gestione dell’amministrazione condominiale, a fronte del pericolo di grave danno derivante da determinate condotte dell’amministratore.
In base a quanto stabilito dal Codice Civile, decorso il secondo anno dall’assunzione dell’incarico, l’amministratore cessa dalla carica in maniera automatica, senza che sia necessaria a tal fine una decisione assembleare, e vengono meno i suoi poteri gestori. In tale evenienza, perciò, il Codice Civile prescrive che l’amministratore cessato dalla carica debba consegnare tutta la documentazione in suo possesso, relativa al condominio e ai condòmini, ed eseguire le attività urgenti al fine di evitare pregiudizi agli interessi comuni, senza diritto ad ulteriori compensi.
La drastica compressione dei poteri gestori dell’amministratore, pressoché annullati al maturare del biennio dalla nomina, induce ad escludere, per i condòmini, la necessità, la possibilità e, in chiave processuale, l’interesse a chiedere la revoca dell’amministratore con il procedimento di volontaria giurisdizione delineato dal Codice Civile. Invece, quando i condòmini sono più di otto, se l’assemblea non vi provvede, la nomina del nuovo dell’amministratore può essere chiesta al giudice.
Comunque, nulla vieta che si inizi un giudizio a cognizione piena al fine di accertare le inadempienze dell’amministratore non più in carica, chiosano i giudici di Cassazione.
Tornando alla vicenda in esame, l’iniziativa processuale dei condòmini non era consentita, e questo perché è pacifico che quando è iniziato il procedimento di revoca giudiziale dell’amministratore, quest’ultimo, che aveva ricoperto il ruolo per due anni, era cessato dall’incarico e, quindi, doveva limitarsi al disbrigo degli affari urgenti, ragion per cui i condòmini non avevano interesse a domandarne la revoca giudiziale.