Pagamento con assegni ‘scoperti’: legittimo ipotizzare il reato di truffa

Rilevante, nell’ottica dei giudici, anche la condotta tenuta in precedenza e mirata a carpire la fiducia del venditore

Pagamento con assegni ‘scoperti’: legittimo ipotizzare il reato di truffa

Pagamento con assegni ‘scoperti’: legittimo parlare di truffa se, chiariscono i giudici (sentenza numero 15723 del 22 marzo 2025 della Cassazione) in precedenza si è carpita la fiducia del venditore con un affare andato a buon fine.
Condanna definitiva, perciò, per due donne, che hanno raggirato un uomo interessato a vendere un orologio di valore. Decisivo non tanto il pagamento con assegni rivelatisi poi ‘scoperti’, quanto, piuttosto, l’avere, le due donne, convinto il venditore di essere acquirenti affidabili.
Facilmente ricostruito l’episodio, relativo al controverso acquisto di un orologio pagato con assegni rivelatisi ‘scoperti’, i giudici di merito ritengono palese la colpevolezza delle due donne autrici del raggiro messo in atto ai danni di un uomo e le condannano per il reato di truffa aggravata.
Questa decisione viene fortemente contestata dalla difesa, che ritiene illogico parlare di truffa, poiché, da un lato, non è indicato in cosa sarebbero consistiti i raggiri compiuti dalle due donne, e, dall’altro, il pagamento con assegni ‘scoperti’ non integra altro che un inadempimento civilistico, privo di rilevanza penale.
Quest’ultima osservazione è ritenuta corretta dai magistrati di Cassazione, i quali, ragionando sull’azione posta in essere dalle due donne, riconoscono che il pagamento con assegno che risulti (al momento dell’incasso) privo di copertura non è di per sé fattore indicativo di truffa né costituisce, di per sé solo, un raggiro. Ciò però non basta per evitare alle due donne la condanna per il reato di truffa. Su questo fronte, difatti, vengono richiamate le attività da loro poste in essere e dirette a carpire la fiducia della persona offesa, accreditandosi come acquirenti affidabili ed assicurando il buon esito degli assegni, al fine di conseguire il definitivo vantaggio economico dell’operazione.
Per meglio inquadrare la questione, comunque, i magistrati sottolineano che la truffa, benché implicante una transazione commerciale, non deve intendersi esaurita in essa e non coincide, necessariamente, con la stipula dell’accordo ed il passaggio dell’oggetto compravenduto (nel caso specifico, un orologio). Proprio ragionando in questa ottica, è decisiva la captatio fiduciae della parte offesa, captatio avvenuta, in questo caso, grazie alla stipulazione di un precedente, analogo, acquisto, andato a buon fine, nonché per mezzo delle rassicurazioni sulla solvibilità degli assegni emessi dalla figlia di una contraente, destinata a ricevere, sul conto di emissione, una somma ‘a copertura’. Poi, le rassicurazioni fornite anche in seguito alla riscontrata (da parte del creditore) impossibilità di incassare il titolo, così come i successivi inadempimenti delle rate in cui il debito portato dagli assegni era stato concordemente frazionato, compongono il quadro complessivo di una condotta ab origine diretta alla commissione della truffa, chiosano i magistrati.

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