Prestazione d’opera intellettuale: l’onerosità è elemento normale
Per esigere il pagamento, quindi, il professionista deve provare il conferimento dell’incarico e l’adempimento, non anche la pattuizione di un corrispettivo

Nel contratto di prestazione d’opera intellettuale l’onerosità è elemento normale, anche se non essenziale, sicché per esigere il pagamento il professionista deve provare il conferimento dell’incarico e l’adempimento, non anche la pattuizione di un corrispettivo, mentre è onere del committente dimostrare l’eventuale accordo sulla gratuità della prestazione. Di conseguenza, in considerazione del carattere eccezionale della prestazione di lavoro gratuita, il rapporto deve ritenersi a titolo oneroso in difetto di una chiara dimostrazione di una concorde volontà contraria.
Questi i punti fermi fissati dai giudici (ordinanza numero 13211 del 19 maggio 2025 della Cassazione) a chiusura del contenzioso sorto tra un avvocato e un commercialista che gli aveva assicurato per anni prestazioni di consulenza contabile.
Chiara la tesi proposta dall’avvocato: il rapporto doveva ritenersi a titolo gratuito, e difatti, solo dopo la rottura del legame di amicizia, a distanza di anni, il commercialista aveva chiesto di essere pagato.
Questa ricostruzione viene respinta in Appello. Di conseguenza, il legale viene condannato a pagare al consulente (ed ex amico) una somma di quasi 6mila e 200 euro.
Per i giudici di secondo grado non ci sono dubbi: il rapporto tra i due professionisti era a titolo oneroso, essendo non decisivo il fatto che nessun compenso fosse stato chiesto per anni.
Sulla stessa lunghezza d’onda anche i magistrati di Cassazione, i quali ricordano che nel contratto di prestazione d’opera intellettuale, come nelle altre ipotesi di lavoro autonomo, l’onerosità è elemento normale, anche se non essenziale, sicché, per esigere il pagamento, il professionista deve provare il conferimento dell’incarico e l’adempimento, non anche la pattuizione di un corrispettivo, mentre è onere del committente dimostrare l’eventuale accordo sulla gratuità della prestazione.
Il Codice Civile, poi, nel definire la nozione del contratto d’opera, espressamente contempla l’obbligazione del corrispettivo a carico del committente. Perciò, è consentito alle parti stabilire che la prestazione dell’opera avvenga senza compenso, ma in considerazione del carattere eccezionale della prestazione di lavoro gratuita, il rapporto deve ritenersi a titolo oneroso in difetto di una chiara dimostrazione di una concorde volontà contraria.
Applicando questa ottica alla vicenda in esame, è ritenuta rilevante l’insufficienza degli elementi volti a sostenere il perfezionamento di un patto di gratuità delle attività professionali svolte dal commercialista.
Per maggiore chiarezza, poi, vengono richiamati ulteriori dettagli: i pagamenti ricevuti dall’avvocato per talune pratiche, come primo indice dell’assenza di un patto di reciproca gratuità, l’esplicita sollecitazione da parte del legale a che fossero quantificate le competenze del commercialista, la sussistenza di rapporti di amicizia solo mediati, la reciprocità delle prestazioni sono elementi tali da ridimensionare il rilievo indiziario della mancanza di richieste di pagamento per un lungo arco temporale. Inoltre, l’esistenza di rapporti di amicizia e frequentazione – soltanto indiretti, peraltro – non depone necessariamente per la gratuità dell’incarico. E, in mancanza di un patto di gratuità, la reciprocità delle prestazioni professionali giustificava l’assenza di richieste di pagamento senza escluderne l’onerosità o impedire, a distanza di tempo, la definitiva regolazione economica.